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Italia, un Paese da sbloccare dove non crescono i giovani leader
Obama, classe 1961, entra alla Casa Bianca. Da noi l’età media del potere è oltre i 70 anni. Radiografia di un male italiano

Nell’era di Barack Obama, in un mondo dove gli equilibri geopolitici di dieci anni fa sono già materia per storici, l’Italia si conferma l’angolo d’Europa più allergico al ricambio della propria classe dirigente. Abbiamo l’Oscar per i leader politici più vecchi (il 49,6% ha più di 71 anni, contro una media del 30% per il resto del continente). Le poltrone che contano nel campo dell’arte e della cultura sono occupate da un’élite con i capelli bianchi, età media vicina ai 70 anni. Tutti mondi dove le donne – tra l’altro – rimangono una minoranza da Wwf. L’anagrafe, certo, non è l’unica unità di misura per calcolare la qualità di un estabilishment. “Il capitale sociale di esperienze accumulato negli anni è un bene prezioso” ammette Nadio Delai, sociologo, presidente di Ermeneia e coordinatore del Rapporto Luiss 2008 “Generare classe dirigente”. L’Italia però ha una cronica tendenza ad abusarne. Il 45,2% dei cosiddetti leader tricolori – i numeri uno di politica, economia, professioni e istituzioni – è ultrasettantenne, contro il 31% della Gran Bretagna e il 28% della Spagna. Un tappo generazionale. Una gerontocrazia autoreferenziale che non piace al paese (il 73% degli italiani – dice la Luiss – la ritiene irresponsabile, il 68% incompetente, il 79% poco innovativa) e che fatica ad assumersi responsabilità reali. “È un’elite sui generis – è l’amara fotografia di Delai – attenta a tutelare i suoi diritti ma che tende a sfuggire ai propri doveri, visto che solo il 3% di loro si riconosce davvero come classe dirigente”. Generalizzare, naturalmente, è come sempre sbagliato…
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