>"I sogni di mio padre", un racconto sulla razza e l’eredità – di Barack Obama

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“I sogni di mio padre”
un racconto sulla razza e l’eredità
di Barack Obama

Una storia familiare, scritta col tocco del romanziere, scevra da ogni riferimento alla frenesia politica. Obama scrisse la sua biografia quando aveva poco più di trent’anni, in occasione dell’elezione a presidente della Harward Law Review, un momento prezioso nel suo essere lontano dalla campagna elettorale in atto, che ci permette di scorgere l’uomo, più che il politico, Barak figlio, padre, ragazzo in cerca del proprio posto nel mondo. La vita di un mezzo sangue di successo, white anglo saxon protestant per parte di madre e keniota per parte di padre, che assurge a paradigma della società americana, pietra miliare per misurare fin dove si può spingere il sogno americano anni ’70 e ’80.
La stretta cronaca biografica, in questi ultimi giorni, è stata ripetuta più e più volte. Barak nacque alle Hawaii. Circostanza non da poco, quest’ultima, dato che è requisito necessario per assurgere alla carica di presidente quella di essere nato negli Stati Uniti d’America. Il padre, Barak senior, studente straniero, aveva vinto una borsa di studio concessa a ragazzi africani nell’ambito di programmi per formare la nuova classe dirigente del continente nero. La madre, Ann Dunham, era anch’essa una studentessa. Nessuno scandalo in famiglia, ma le cose, tra i due, non funzionarono. Barak senior prima completò gli studi ad Harward, poi tornò in Kenia per tener fede alla promessa verso il suo paese. La madre, successivamente si risposò con un indonesiano, ed il giovane Barak visse parte dell’infanzia a Giakarta, dove nacque la sua sorellastra. Tornato in America, Obama rimbalzò da una parte all’altra degli Stati Uniti rincorrendo suoi progetti, le sue aspirazioni, e il suo impegno civico e sociale.
Obama, oltre ad essere un trascinatore di platee, sembra anche avere doti di narratore. La scrittura è fluida, la pagina vibra dei ricordi personali, degli aneddoti davanti agli album di famiglia. Considerazioni maturate nel tempo, stratificate nell’animo, sull’identità e la razza. Il proprio essere “multietnico” diventa così lo strumento di una sperimentazione quotidiana su se stesso ed il mondo che lo circonda. Il fatto di essere stato scritto in tempi non sospetti libera il racconto da equilibrismi di circostanza: Obama ammette di aver fatto uso di droga, erba e anche qualche “tiretto”, di aver camminato lungo quel confine fatto di alcool e stupefacenti che può portare al baratro dei fallimenti; e non si può non sorridere ripensando al caro Bill Clinton che, in tempi presidenziali, alla domanda se avesse mai fumato mariujana, rispose di sì, ma che non aveva aspirato.
Il tema della razza, dell’identità è come un pendolo che torna a battere ciclicamente nel libro, ora nei ricordi d’infanzia, ora “da grande”, soprattutto nel viaggio in Kenia, in occasione della morte del padre in un incidente. Il ritorno in Africa è forse uno dei momenti più intensi del libro. Una famiglia allargata fatta di tante persone, molte delle quali viste per la prima volta, le beghe familiari tali e quali a quelle di qualunque altro paese. E torna, puntuale, anche il tema della razza, dei diversi modi di porsi di fronte ai diversi colori che si hanno di fronte, in Africa come in America, come in Europa. Ma è una ossessione che sublima sé stessa, fino a esaurirsi in un’unica realtà: pensare sempre alla razza, farne il fulcro del proprio essere e la bussola della propria direzione serve solo a capire che la razza è solo una fantasia umana, una chimera figlia di qualche forma di fanatismo. Anche i pasti senza dubbio africani che Obama mangia con i parenti a Nairobi sono conditi di spezie orientali e accompagnate da tè inglese. Ed allora l’etnia, la meravigliosa sciocchezza della razza si rivela e si perde in quella pietanza tradizionale dei Luo, la tribù degli Obama.
Chi è dunque Barak Obama? Se ci poniamo col piglio del politilogo e intendiamo l’Obama politico, e con qualche probabilità il prossimo presidente degli Stati Uniti d’America, questo libro non ci aiuterà molto. Il suo messaggio elettorale è affidato ad un altro testo, L’audacia della Speranza, edito da Rizzoli, puntualmente introdotto da Walter Veltroni. Ciò che invece rimane al lettore di questo I sogni di mio padre è, credo, un racconto intorno al fuoco, una riflessione intima di un uomo giunto nel mezzo del cammin della sua vita, con tanta strada alle spalle e tanta strada di fronte a se’, un oceano da percorrere per scoprire che non c’è altra casa di quella che stai abitando in questo momento, che si può essere soli in mezzo ai fratelli e protetti perdendosi per il mondo.
Una storia di vita vissuta che val la pena di leggere. E poco importa se, nel turbinio delle primarie, si è alzata qualche voce a parlare di “aggiustamenti”; il NYT, che ha spesso dimostrato una preferenza per la Clinton, ha polemicamente sostenuto che Obama abbia omesso, in questa sua biografia, alcuni particolari scomodi: il secondo nome Hussein (di cui effettivamente non c’è traccia nel libro), le radici islamiche della sua famiglia africana (falso, nel libro si legge chiaramente che Barak in arabo vuol dire Benedetto e che il nonno di Obama era musulmano) o qualche abbellimento qui e là, andando finanche a intervistare un suo ex-collega, che sostiene che laddove Obama parla di un buon lavoro in una agenzia di stampa economica, la loro reale mansione era fare fotocopie per i superiori. Poco importa, c’è sempre qualcuno che, quando indichi la luna, guarda il dito.
di EDOARDO CICCHINELLI
Barack Obama
I sogni di mio padre
Un racconto sulla razza e l’eredità
Traduzione di Cristina Cavalli e Gianni Nicola
pp. 460
Collana Specchi
Editrice Nutrimenti – 2007

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