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“Ancora una volta sono i monaci buddisti ad essere, con la pacifica determinazione che li contraddistingue, i protagonisti di un movimento per la libertà e i diritti umani. E loro a pagarne le più dolorose conseguenze“.
Walter Veltroni
Tibet, centinaia i morti. A mezzanotte scade l’ultimatum
Scade alla mezzanotte di lunedì, le 17 in Italia, l’ultimatum imposto dalle autorità cinesi agli abitanti di Lhasa, capitale del Tibet, affinché pongano totalmente fine alle proteste. Pechino chiede la resa, vuole che tutti coloro che in questi giorni hanno protestato si consegnino senza condizioni alle autorità cinesi. A loro si promette clemenza. A chi non si farà vivo, si minaccia una repressione ancora più forte di quella che ha sconvolto il Tibet in queste ore.I soldati, membri della Polizia armata del popolo, hanno già cominciato a schierarsi sulle arterie principali di Lhasa, sui tetti e attorno agli edifici principali della città. In mano non hanno più solo bastoni, ma fucili che hanno già fatto cantare. Secondo il governo tibetano in esilio, «le grandi manifestazioni iniziate il 10 marzo a Lhasa e in altre regioni del Tibet hanno portato alla morte di centinaia di persone». Per questo, dopo l’appello del Dalai Lama, che domenica ha denunciato il «genocidio culturale» che da decenni affligge il Tibet e ha chiesto l’intervento delle organizzazioni internazionali, ora il parlamento tibetano torna a supplicare «l’attenzione delle Nazioni Unite e della comunità internazionale».Per il governo cinese, invece, i morti di questi giorni sono solo 13. Ammettono che siano «civili innocenti», ma non accennano a superare questa ridicola cifra né confessano di aver «aperto il fuoco».Intanto, la protesta si allarga: in Nepal, a Katmandu, un centinaio di rifugiati tibetani hanno manifestato nei pressi della rappresentanza delle Nazioni unite: la polizia li ha caricati ed ha arrestato una trentina di persone. Tra loro ci sono anche alcuni monaci.
Il Dalai Lama afferma: ”Genocidio culturale”
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